etimologie
Heidegger dopo la Kehre del '29 cerca l'Essere che dimora nelle parole. Solo dalle parole, come dono dell'essere, può emergere la verità. Mi metto in ascolto delle parole che mi restituiscono un senso originario che oscilla come il suono dei fogli che passano adesso attraverso la stampante.
perdonare
Lat. mediev. perdonare, comp. di pe°r rafforzativo e dona¯re 'donare'
dono
Lat. do¯nu(m), dalla stessa radice di da¯re; cfr. dote
dote
Dal lat. do¯te(m), dalla stessa radice di da¯re; cfr. dono
Il perdonare come un dono ancora più forte, un dono però che arriva da lontano e nasce insieme a una dote. Il perdonare che è un non punire, un non castigare, che implica il giudizio che qualcuno abbia sbagliato e che magnanimamente non venga punito. Il perdono che implica la demarcazione netta tra un carnefice e una vittima. E io queste distinzioni nette non le riesco ancora a vedere.
Trovo qui Derrida che mi parla di dono e perdono e intanto finisco di stampare:
perdonare
Lat. mediev. perdonare, comp. di pe°r rafforzativo e dona¯re 'donare'
dono
Lat. do¯nu(m), dalla stessa radice di da¯re; cfr. dote
dote
Dal lat. do¯te(m), dalla stessa radice di da¯re; cfr. dono
Il perdonare come un dono ancora più forte, un dono però che arriva da lontano e nasce insieme a una dote. Il perdonare che è un non punire, un non castigare, che implica il giudizio che qualcuno abbia sbagliato e che magnanimamente non venga punito. Il perdono che implica la demarcazione netta tra un carnefice e una vittima. E io queste distinzioni nette non le riesco ancora a vedere.
Trovo qui Derrida che mi parla di dono e perdono e intanto finisco di stampare:
Se la persona cui dono qualcosa ne è consapevole e mostra quindi la sua riconoscenza dicendomi ad esempio: "ho ricevuto questo da parte tua, grazie", questa semplice gratitudine e questa presa di coscienza mettono in moto un circolo economico e un gesto di restituzione che, come tali, distruggono il dono. Detto in altri termini, e venendo subito alla radice del problema: basta che il dono appaia come tale a chi lo riceve o a chi lo fa perché scompaia. Per essere conforme alla sua essenza, il dono deve sfuggire all'economia, deve sfuggire al 'grazie', alla ricompensa, al mercato. Fa parte dunque del senso del dono il fatto di non apparire mai come tale. E si associano così due requisiti contrastanti. Uno segna la necessità della fenomenologia, l'altro la sua impossibilità. Lo stesso vale, mutatis mutandis, anche per il perdono. Se penso all'idea del perdono così come l'abbiamo ereditata dalla nostra cultura giudaico-cristiano-islamica, il perdono dev'essere una pura grazia. Dev'essere libero e offerto in maniera incondizionata. Per perdonare bisogna innanzitutto che il perdono non sia richiesto, che nessuna parola lo prenda in consegna, lo esprima, lo dica, lo raccolga. Il perdono dev'essere silenzioso, invisibile, discreto. Deve sfuggire al linguaggio e alla fenomenologia, e non deve neppure avere un senso. Se avesse un senso potremmo capire come si orienta e come appare a una coscienza. Ma tanto il dono quanto il perdono, dal momento in cui si danno nell'esistenza, spariscono. Abbiamo dunque in una stessa esperienza - intendendo questa nel suo senso più ampio - insieme una possibilità e un'impossibilità.
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